sabato 26 ottobre 2013

IL SORRISO DOLCE E MITE DI RAFFAELE PENNACCHIO


Raffaele Pennacchio
Mi è rimasta impressa la serenità del suo sguardo e quel sorriso dolce e mite nonostante la grave malattia. Raffaele Pennacchio aveva 55 anni ed era malato di Sla. E’ morto mercoledì sera a Roma in albergo, dopo l’incontro con il governo e il presidio sotto il Ministero dell’Economia e della Finanza. Era delle mie parti. Precisamente di Macerata Campania, provincia di Caserta. Non lo conoscevo, ma ho letto che era un medico. Aveva lavorato all’Asl di Caserta ed era specializzato in Tecniche semiologiche speciali chirurgiche. Sposato  e con due figli di 19 e 20 anni,  era in pensione da qualche anno, costretto su una sedie a rotelle. Era nella capitale da due giorni per sostenere il progetto “Restare a casa” del Comitato 16 novembre onlus. Praticamente chiedeva i fondi per l’assistenza e la ricerca sui malati di Sla, la sclerosi laterale amiotrofica. Nei due anni trascorsi, Raffaele, con gli altri malati di Sla e i loro familiari, sono  stati costretti a fare nove it-in di protesta per ottenere i fondi.
Ne ho incontrati diversi di malati di Sla  in questi ultimi tempi. E sempre in occasioni di proteste contro i tagli all’assistenza. La cosa che fa male è sapere che  ci sono tante persone con problemi enormi che potrebbero essere aiutate con poco. Dall’altro lato ci sono sprechi di danaro pubblico che questi problemi li potrebbero risolvere senza grandi sforzi. Il presidente del Consiglio, Enrico Letta, dice che siamo ridotti con le pezze al culo. Ma l’ipocrisia di chi ci governa è arrivata a livelli insopportabili. C’è solo una parte del paese che è con le pezze al culo: quelli che hanno sempre avuto difficoltà ad andare avanti. Raffaele è vittima di questa ingiustizia. Di questa disparità di trattamento tra cittadini di uno stesso Stato. Raffaele però non ha mai rinunciato alla sua dignità e ha voluto essere sempre in prima fila nelle lotte per i malati di Sla. Da medico sapeva più di altri che poteva avere problemi se forzava il suo corpo debilitato. Non si è tirato indietro quando gli hanno comunicato che i ministri del governo Letta avrebbero ricevuto una delegazione dei promotori della protesta non più il 22 ottobre, come previsto, ma il giorno dopo.  Raffaele ha pagato l’affaticamento e lo sforzo con un infarto.  Ha dato la sua vita non solo per se stesso, ma anche per gli altri malati di Sla. Raffaele è a pieno titolo una vittima innocente del nostro sistema sanitario. A sua moglie e ai suoi figli il nostro abbraccio e di tutti coloro hanno cuore la giustizia sociale.  Noi lo vogliamo ricordare così, con quel suo sorriso dolce e mite e con il suo coraggio civile. Una grande persona che non va dimenticata.

venerdì 25 ottobre 2013

I ROM NON RAPISCONO I BAMBINI

Dunque Maria, la bambina dai capelli biondi che vive in Grecia e che qualche giorno fa è stata sottratta ad una coppia Rom, non è stata rapita. Maria, che oggi ha quattro anni, è  nata nel 2009 a Lamia, in Grecia da Sasha e Atanas Rusev, una famiglia Rom. I Rusev hanno vissuto lì fino al 2010, quando tornarono in Bulgaria. Ma prima di fare ritorno a Sofia lasciarono la bambina ad un'altra coppia rom perché non avevano soldi per mantenerla e avevano ancora tante bocche da sfamare (10 figli). Sulla bambina è stato effettuato il test del Dna. Il ministero dell'Interno bulgaro ha confermato: "I test del dna hanno dimostrato che la coppia di rom bulgari, Sasha e Atanas Roussev, sono rispettivamente la madre e il padre biologico della bimba". La storia, in verità era nota, perché questo è quello che aveva raccontato la coppia di Rom con cui viveva Maria, quando si è diffusa la notizia che una bambina bionda viveva in un campo nomadi. Ma nessuno ha voluto credere alla loro versione. 

Come nessuno volle credere alla versione della famiglia di un’altra bimba Rom che fu sequestrata letteralmente  dalla polizia ai suoi genitori senza alcun motivo. Era il 7 novembre del 2001.  Fuori il cimitero di Montecorvino Rovella, un paesino dell’entroterra salernitano, una piccola Rom chiedeva l’elemosina. Secondo alcune donne aveva una somiglianza con Angela Celentano la bambina scomparsa sul monte Faito cinque anni prima mentre era in gita con i genitori. Niente di fondato, solo la diceria di alcune donne. Ma tanto bastò a prendere questa bambina, sottrarla ai genitori con la quale viveva in un campo Rom nei pressi di Battipaglia, e tagliarle una ciocca di capelli per confrontarla col Dna dei genitori di Angela Celentano. Nel frattempo la bambina venne trattenuta. Immagino la disperazione dei genitori della bambina che in quel momento dovettero sentirsi delle nullità. Nessuno li ascoltava, nessuno sentiva le loro ragioni. E che paese è il nostro se non assicura pari diritti a tutte le persone, soprattutto a quelle che hanno meno capacità di difendersi?
 Ovviamente il Dna, qualche giorno dopo, diede esito negativo. La bambina non era Angela Celentano, ma una piccola Rom e i suoi genitori erano quelli con cui viveva. Allora, come pochi giorni fa in Grecia, è scattato ancora una volta il pregiudizio contro i Rom. Hanno fatto valere solo una leggenda.  Una leggenda metropolitana  secondo la quale “Gli zingari rapiscono i bambini”. Ne conosco anche un’altra di leggenda metropolitana. Me la raccontava mia nonna da piccolo. Diceva che gli zingari andavano perseguitati perché avevano fatto i chiodi serviti per inchiodare Gesù Cristo sulla croce. Io, come tutti i bambini, ci credevo a questa cosa. Poi sono cresciuto e ho imparato a vedere le cose in altro modo. Ho compreso che i Rom sono come tutte le altre persone che abitano la terra e che contro di loro, nei secoli, c’è sempre stata una persecuzione latente e che  ancora oggi vivono confinati in luoghi  dove è impossibile vivere. Ma c’è chi ci crede ancora oggi a queste falsità. E non disdegnano di ostentare le loro  credenze basate sul nulla e si fanno notare anche sui social network. Li avevo anche tra i miei amici su Facebook. Li ho cancellati.

Ma sarei curioso di vedere la reazione di una famiglia italiana se arriva qualcuno all’improvviso, vestito da poliziotto o carabiniere e  dice: “Questo bambino non assomiglia ai propri genitori. Lo avete rapito. Gli facciamo l’esame del Dna”. E quindi si prendono il bambino e lo affidano ad un istituto o ai servizi sociali (immaginiamo per un attimo che esistano e funzionino). A me sembra una cosa folle, da regime nazista.  In un attimo, senza la decisione di un giudice, senza che ci sia una sentenza, ti tolgono quello che il bene più prezioso  che esiste su questa terra: un figlio. Quello di cui più mi meraviglio in questi casi, è il fatto che non ci sia  una reazione da parte di ogni famiglia, ogni genitore, ogni mamma, ogni papà. Può accadere ad ognuno di noi.
Pensando alla vicenda della piccola Maria, mi sono venute  in mente le parole di Bertold Brecht: 

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari


e fui contento, perché rubacchiavano.


Poi vennero a prendere gli ebrei

e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali,

e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti,

e io non dissi niente, perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me,
 
e non c’era rimasto nessuno a protestare”.