lunedì 24 dicembre 2012

IL NATALE DI VALERIA E DEI SUOI TRE BAMBINI NEL CAMPO ROM NUMERO 6 DI GIUGLIANO


Valeria stringe in braccio Vanessa,  la sua ultima bambina. E’ nata un anno e mezzo fa.  Accoglie i suoi ospiti con un sorriso in una casetta di legno  di circa 8 metri quadri. Somiglia a quelle dei parco giochi costruite per i sette nani. Solo che qui tutti insieme i nani non ci entrerebbero. Valeria vive nel campo Rom numero 6, alla periferia di Giugliano. Nella casetta una luce gialla fioca illumina i pochi arredi:  una sola sedia, un tappeto per terra e qualcosa che assomiglia ad un divano. Nella penombra si intravede  anche una piccola cucina a gas e sul fornello un pentolino che riscalda un po’ d’acqua. Luca, il secondo figlio, di cinque anni, non c’è. E’ a casa di un suo zio. Ma non c’è nemmeno Andrea, il marito. E’ stato ucciso dalla polizia il 9 novembre scorso sull’asse mediano, mentre con un auto forzava un posto di blocco con altri tre ragazzi Rom. I quattro avevano appena compiuto un furto in una tabaccheria di Santa Maria Capua Vetere. Li tenevano d’occhio da un pezzo. Quella mattina, erano quasi le 6, i poliziotti li stavano aspettando sulla strada del ritorno a casa, perché avvertiti dall’allarme scattato nell’esercizio commerciale svaligiato. Andrea aveva 21 anni, come lei. Da quando il marito non c’è più, la sua vita è cambiata di colpo, in peggio. Vive con i suoi tre bambini tra questa casetta dove cucina quando può e una roulotte dove dormono tutti insieme.
 

Vicino a Valeria c’è Morena, la prima figlia, sei anni. “Sto preparando un caffè alla turca”, dice Valeria ai suoi ospiti. “Spero che vi piaccia, ma non ho altro da offrirvi, mi dispiace”.  Valeria ha il volto sereno. I capelli lunghi tirati all’indietro, color castano biondo, le restituiscono una bellezza sincera. E giovanissima. Ha solo vent’anni. Si è sposata che di anni ne aveva 14. “Porto a scuola i due bambini più grandi quando la macchina parte – racconta -  altrimenti restano a casa.   Poi vado a raccogliere ferro per la strada o per le campagne, lasciando Vanessa da una parente del campo. Non ho molte alternative – dice con rassegnazione la giovane mamma -  Dovrei andare a rubare, ma non posso. Se mi arrestano i miei figli dovrei lasciarli soli. Non voglio tutto questo. Vorrei uscire da questo degrado. Ma da sola non ce la faccio. Ho bisogno di aiuto”. Gli occhi le si fanno lucidi. Sta quasi per piangere, ma le lacrime non escono. “Cerco qualche abito per i miei bambini. Hanno freddo. Ho solo una stufa. Ma l’inverno è lungo. Vorrei lavorare, fare qualsiasi cosa che  possa aiutare me e i miei figli”. Si ferma Valeria, pensierosa. E poi aggiunge: “Ma chi vuoi che dà il lavoro ad una zingara? Eppure i mie figli sono nati qui. Io sto qui da più di sedici anni. Mio marito era nato qui”.
 
 
Le due ragazze dell’Opera Nomadi, Francesca e Laura che sono venute a farle visita, si sforzano di tranquillizzarla. “Vedrai, faremo domanda al Caf per farti avere una contributo dall’Inps. Forse rientri proprio nella casistica di quelli che hanno tre bambini piccoli. Sono 1200 euro in un anno.” Valeria guarda le due ragazze e scuote la testa. “Come faccio a vivere con tre bambini e con 1200 euro all’anno?” Ho bisogno di vestiario, cartelle e quaderni per la scuola. E, soprattutto, ho bisogno di far mangiare almeno i miei figli”. Quando la disperazione si sta impadronendo dei suoi pensieri, la piccola Vanessa fa capire a gesti che ha fame. “Aspetta un po’ – le dice Valeria -  adesso che se ne vanno i nostri amici ti faccio mangiare qualcosa”. Ma la verità è che non ha niente da far mangiare alla bambina. Deve andare a chiedere alla roulotte vicina se le donano un po’ di pastina e un dado. Solo così darà qualcosa di caldo da mangiare a Vanessa. “Il caffè alla turca è buono” dice Francesca, mentre lo sorseggia. Ma ha un sapore amaro di fronte a tanta povertà. E soprattutto di fronte ad una nuova richiesta di aiuto di Valeria: “Non si può fare una colletta per aiutarmi un po’?” “Vediamo se ci riusciamo” dice Laura. Con la testa abbassata vanno via le due ragazze dell’Opera Nomadi. Il loro volto esprime tutta l’angoscia e l’impotenza di fronte alle richieste di Valeria. Vanessa  è ancora in braccio alla mamma. Saluta anche lei con la manina. Poi, togliendosi di bocca il biberon, smozzica due parole: “Buon Natale”.

 

lunedì 17 dicembre 2012

I CARABINIERI ARRESTANO A SCAMPIA RAFFAELE NOTTURNO, UNO DEI CAPI DEGLI SCISSIONISTI



Preso a Scampìa un altro boss degli scissionisti. Si tratta di Raffaele Notturno, fratello di Vincenzo, reggente dell'omonimo clan. A sorprenderlo nel suo nascondiglio sono stati stamani  i carabinieri della Compagnia Stella durante un blitz scattato alle 11 nel lotto TB, in una zona della città storicamente sotto l'influenza criminale del clan composto anche dalle famiglie Abete, Abbinante e Aprea.  Raffaele Notturno, 38 anni, era ancora in pigiama quando è stato arrestato. I militari lo hanno scovato al sesto piano in un mini appartamento, proprio a fianco della sua abitazione.  Quando i militari si sono presentati nel suo appartamento, ad aprire è stata la moglie che ai carabinieri ha detto di non sapere dove fosse il marito. Soprattutto perché i rapporti tra loro erano bruscamente interrotti dopo un litigio. Il latitante, però, era nascosto  proprio lì accanto, in un mini appartamento fatto appositamente realizzare sullo stesso pianerottolo aggiungendo, allo sgabuzzino di sua pertinenza, una stanza e mezza sottratte all'abitazione vicina, in cui vive un anziano. Quando i carabinieri si sono accorti che la porta dello sgabuzzino era blindata hanno deciso di forzarla con le smerigliatrici ma non hanno fatto in tempo ad iniziare i lavori: Raffaele Notturno ha capito che ormai non c'era più niente da fare e ha aperto l'uscio presentandosi in pigiama ai carabinieri guidati dal capitano Orlando Narducci, che lo hanno arrestato.

I carabinieri, durante i controlli eseguiti al Lotto TB, hanno anche scoperto un complesso e ramificato sistema di micro videocamere, fatte installare in punti strategici e in grado di tenere sotto osservazione tutta l'area circostante l'edificio che ospita l'abitazione del boss. Attraverso i monitor, Raffaele Notturno si accorgeva dell'arrivo delle forze dell'ordine e si rifugiava in quella che era diventata la sua dependance, composta da cucina, bagno, salottino e stanza da letto. Tutti vani accuratamente arredati. I carabinieri, comunque, ritengono che il latitante - forte del rispetto di cui gode in virtù del suo ruolo di capoclan - utilizzasse come rifugi anche le altre decine di appartamenti presenti nello stabile, semplicemente presentandosi alla porta degli inquilini prima dell'arrivo delle forze dell'ordine. Opporsi, ovviamente, era fortemente sconsigliato. Raffaele Notturno, fratello di Vincenzo, detenuto in regime di carcere duro nel Nord Italia, deve scontare 2 anni e 11 mesi per traffico di sostanze stupefacenti.

domenica 16 dicembre 2012

A SCAMPIA SI PASSA ALLE BOMBE. LA GUERRA DI CAMORRA ALZA IL LIVELLO DELLO SCONTRO


Si alza il livello di scontro tra i clan di camorra in guerra per le piazze di spaccio a Scampìa. Un ordigno inesploso è stato trovato dai carabinieri in un piazzale delle «case celesti» a Scampia. Sono in corso accertamenti da parte degli artificieri del comando provinciale. Ieri sera, una bomba carta contenente sferette metalliche è stata lanciata da un'auto in corsa, provocando danni a nove auto e il lieve ferimento di una ragazzina e di un bambino.

L'ordigno inesploso trovato stamane potrebbe essere stato scagliato anche ieri sera, subito prima o dopo l'altro episodio in cui la bomba, invece, è scoppiata. Quella recuperata oggi dagli artificieri dell'Arma è una bomba a mano dello stesso tipo di quelle utilizzate durante il conflitto nella ex Jugoslavia: fabbricata nell'Est europeo, conteneva esplosivo al plastico e circa tremila microsfere metalliche destinate a essere scagliate intorno con grande forza distruttrice. Si trattava di una bomba in cattivo stato di conservazione, visibilmente arrugginita: è stata lanciata per esplodere (cuffia e spoletta sono state rinvenute a una trentina di metri di distanza) ma non ha funzionato. Il luogo dove è stata trovata questa bomba è uno spiazzo ampio e poco frequentato, specie di sera, quindi si presume che gli autori dell'attentato non volessero colpire un bersaglio determinato ma, come nel caso di ieri, lanciare un segnale al clan dei «girati»

La bomba di ieri era stata lanciata al centro di una carreggiata stradale, quella inesplosa in un piazzale deserto. Segnali che potrebbero essere letti nell'ottica dell'avvertimento, pensato per lanciare un segnale violento ma senza colpire direttamente l'avversario come invece successe il 5 dicembre, con la vittima di un agguato inseguita e finita dentro il cortile di una scuola.


Il fatto che compaiono ordigni bellici nella lotta tra clan a Scampia è un segnale che suscita ovvia preoccupazione, ma c'è anche la possibilità che segni l'avvio di trattative tra i rivali, verso una possibile tregua. È la lettura degli ultimi avvenimenti del colonnello Marco Minicucci, comandante provinciale dei carabinieri, appena rientrato dall'ennesimo sopralluogo nel quartiere. Minicucci spiega: «La bomba scoppiata ieri sera e quella inesplosa trovata stamane possono essere lette come una escalation del conflitto. Ma anche come un modo per dire: possiamo colpirvi a casa vostra quando vogliamo, ora fermiamoci perché la spirale della violenza non porta a nulla». «Loro stessi - riflettere il comandante dei carabinieri di Napoli - potrebbero, dovrebbero rendersi conto che la guerra, quando si arriva a sparare nei cortili delle scuole o si lanciano bombe nelle strade, non aiuta in alcun modo gli stessi contendenti a prevalere l'un sull'altro. Sono persone sicuramente senza scrupoli, ma abbiano il cervello per pensare. C'è chi dice pentitevi, io dico: ragionate. A cosa porta tutto quello che state facendo?». Al di là degli scenari possibili, Minicucci è convinto della necessità di mantenere l'altissima vigilanza già in corso sul territorio di Scampia: «La presenza delle forze dell'ordine è imponente, la pressione cresce di continuo. E gli ultimi avvenimenti, qualunque sia la loro corretta lettura, ci inducono ad accrescere ulteriormente i nostri sforzi».

sabato 15 dicembre 2012

STERCO DI BUFALA DAVANTI AL MUNICIPIO DI CAPUA. IL "REGALO" DI NATALE DEI "NO GAS" AL SINDACO ANTROPOLI


Un secchio di sterco di bufala  davanti al portone del municipio. L’hanno lasciato i “No Gas”, il movimento che si oppone alla costruzione del gassificatore a Capua, nel corso della manifestazione che stamani ha sfilato per le vie cittadine. Il corteo è partito alle 10 da Piazza D’armi per attraversare il centro antico. Alcune centinaia i manifestanti, soprattutto studenti  e membri dei centri sociali che hanno seguito  il grande striscione che apriva il corteo con la scritta:  “No al gassificatore né a Capua, né altrove. No Gas in ogni citta, in ogni paese”. Man mano che si avvicinava al centro cittadino altre persone si sono aggiunte al corteo. Tra la folla anche il sindaco di Camigliano, Enzo Cenname, tra i più forti oppositori alla nascita del gassificatore.
“Tutti i sindaci dell’agro caleno sono contro il gassificatore a Capua – spiega Cenname -  perché il problema di questa provincia non è la frazione secca dei rifiuti, ma è l’umido. E per l’umido c’è bisogno di impianti di compostaggio”. Cenname  sa contro chi puntare l’indice: “Il gassificatore lo vuole solo il presidente dell’amministrazione provinciale, Domenico Zinzi e il sindaco di Capua, Carmine Antropoli. Entrambi sono favorevoli solo per un interesse economico, ma non per risolvere il problema dei rifiuti. Su questa vicenda pesa anche l’ombra dei rifiuti industriali. Non vorrei che quei rifiuti, che non si sa dove vanno a finire, alla fine vangano inceneriti proprio in questo gassificatore ”.

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Giunti nel centro cittadino, i manifestanti si sono fermati proprio davanti l’ingresso del municipio con porte sbarrate e protette da vigili urbani e poliziotti. Tantissima gente, intanto affolla piazza dei Giudici, lo slargo antistante il comune e tradizionale centro di ritrovo dei capuani. I “No Gas”, improvvisano un comizio. Sparano i loro slogan da un altoparlante collegato ad un furgoncino, sanno che il primo cittadino è nella sua stanza in Municipio. Si accendono alcuni fumogeni. In quel momento qualcuno versa un secchio di sterco davanti al portone del municipio. “Questo è il regalo di Natale che si merita il sindaco e chi vuole avvelenarci con il gassificatore”, dice una voce dall’altoparlante. Scomparsi i fumogeni dall’aria, il corteo si ricompone per sciogliersi poco dopo.

venerdì 14 dicembre 2012

“LET'S CLEAN CASTEL VOLTURNO" , "PULIAMO CASTEL VOLTURNO". GLI IMMIGRATI ORGANIZZANO LA RACCOLTA DIFFERENZIATA


MIMMA D'AMICO
 A Castel Volturno la raccolta differenziata non decolla? Gli immigrati proveranno a dare una mano.  Domattina alle 9,30 lungo la domiziana alcune centinaia di persone, organizzate in diverse squadre, effettueranno la pulizia di alcuni luoghi molto frequentati e che ora sono lasciati nel degrado e nell’incuria. L’iniziativa si chiama “Let’s clean Castel Volturno” , "Puliamo Catel Volturno", ed è stata indetta  E' la manifestazione indetta per domani dagli immigrati che abitano nel comune domiziano, che mira a sensibilizzare la popolazione immigrata a praticare la raccolta differenziata. L'appuntamento è stato indetto dal Movimento dei Migranti e dei Rifugiati, Centro Sociale “Ex canapificio”, dai Padri Comboniani di Castel Volturno, dalla  Caritas Caserta e da circolo di Sel di Castel Volturno. “E’ una sorta di sfida che abbiamo lanciato alla commissione straordinaria del Comune di Castel Volturno, ma anche per la popolazione residente - spiega Mimma D'Amico del centro sociale ex canapificio di Caserta che è tra i promotori dell'iniziativa - perché oggi Castel Volturno, devastata dalla privatizzazione della pineta, dall’abusivismo edilizio, dall’inquinamento e dalla presenza di inquinanti pericolosi nelle falde acquifere come il mercurio e non può essere riqualificata, bonificata, pulita, senza coinvolgere i migranti ed i rifugiati che vivono sul territorio”.

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Tre i punti dove si concentreranno le squadre di pulizia: il primo è previsto lungo la domiziana, in via Veneto, vicino alla fermata dell’autobus, quasi all’altezza del cavalcavia che porta al Villaggio Coppola. Il secondo punto proprio nel Villaggio Coppola e il terzo sulla grande spiaggia libera di Pinetamare.  “L’obiettivo  - spiega ancora Mimma D’Amico - è quello di pulire, raccogliere e differenziare l’immondizia sulla strada e nella pineta alle spalle delle postazioni scelte. Poi dipingeremo la fermata dell’autobus.  La raccolta differenziata a Castel Volturno - dice D'Amico - non riesce ancora a decollare su tutto il territorio, e neanche sulla Domiziana, ma questa mobilitazione sarà un nuovo passo per concorrere a raggiungere l’obiettivo di arrivare al 51%. Raggiungere questo risultato si tradurrà in un beneficio concreto per tutti gli abitanti di Castel Volturno". Tutto il materiale della raccolta straordinaria sarà ritirato dalla “Senesi s.p.a.” che su mandato del Comune di Castel Volturno ha il compito di procedere al ritiro ed all’avvio del ciclo di smaltimento.

mercoledì 12 dicembre 2012

PASSEGGIATA ANTIRACKET A PARETE. SUL CORSO COMPARE UNA SCRITTA INNEGGIANTE A FRANCESCO BIDOGNETTI: "QUI SI TIFA CIC 8"


"Qui si tifa Cic 8". Una scritta su un muro di Parete allude a Francesco Bidognetti, conosciuto come “Cicciotto ‘e mezzanotte” , uno dei boss storici del clan dei casalesi che sconta già l’ergastolo da diversi anni. La incrociano durante “la passeggiata anti racket” i commercianti che hanno denunciato il pizzo e che ieri sera hanno fatto il giro per i negozi per convincere gli esercenti a non cedere agli estorsori. Con l’associazione locale, l’Unione Casertana Antiracket (UCA), nata dieci anni fa, c’è Silvana Fucito, Coordinatrice delle Associazioni anti racket della Campania. Fucito è a Parete anche per inaugurare la nuova sede dell’associazione anti racket ubicata in un bene confiscato proprio alla famiglia Bidognetti. Una ventina di persone in tutto, guidate oltre che dalla Fucito, anche dal presidente dell’associazione, Domenico Di Ronza e dal sindaco di Parete, Raffaele Vitale. Ad accompagnarli c’è il presidente dell’associazione anti racket “Domenico Noviello”, di Castel Volturno, Luigi Ferrucci, l’avvocato della Federazione Antiracket Italiana, Gianni Zara, il maresciallo Capo della Caserma dei carabinieri di Parete, Vincenzo Pulicani. Diffondono volantini informativi con tanto di numero di telefono a cui denunciare. Ma entrano anche nei negozi per cercare nuovi adepti. Ed è sul corso principale che si imbattono nella scritta vergata con un pennarello su un muro, tra l’entrata di due esercizi commerciali. La scritta viene segnalata da alcuni giovani. Loro l’hanno subito notata, anche perché l’autore ha utilizzato uno slang tipicamente giovanile per inneggiare al boss che proprio a Parete negli anni scorsi ha fatto il bello e il cattivo tempo. Il gruppo di commercianti e imprenditori, avvezzo a trovare provocazioni sul proprio cammino, guarda e passa. I carabinieri annotano.
Poco prima, con una breve e sobria cerimonia, il primo cittadino, affiancato da Silvana Fucito, ha tagliato il nastro del bene confiscato ubicato nel “parco del sole”, a poche centinaia di metri dal Municipio. Un appartamento di due piani confiscato alla famiglia Bidognetti. “In questo stabile – ha spiegato il sindaco Raffaele Vitale –avranno la loro sede oltre all’associazione anti racket, anche lo sportello anti usura, lo sportello anti violenza sulle donne e il centro di ascolto per le famiglie”. “I risultati di questa nostra attività di sensibilizzazione – ha detto Silvana Fucito al termine della passeggiata tra i negozianti – cominciano a vedersi. Sono sempre più numerosi quelli che si rifiutano di pagare il pizzo e denunciano i loro estorsori. La crisi, in verità ci dà anche una mano, perché soldi in giro ce ne sono pochi e quei pochi spiccioli i commercianti se li vogliono tenere ben stretti”.

 

 

 

sabato 8 dicembre 2012

SFREGIO AL PRESIDIO DI LIBERA E LEGAMBIENTE DI CASAPESENNA


Casapesenna - Vernice gialla sulla targa del centro sociale intitolato al sindaco anticamorra Antonio Cangiano. E’ lo sfregio che ieri sera, 7 dicembre, ad un anno esatto dalla cattura di Michele Zagaria, qualcuno ha voluto fare per rimarcare la presenza su un territorio che lo Stato sta lentamente riconquistando. Segnale ancora più inequivocabile se si pensa che il centro sociale è ubicato proprio in un bene confiscato a Michele Zagaria. “Ce ne siamo accorti stamattina – dice Pasquale Cirillo, responsabile di Legambiente  la cui sede è ospitata al primo piano del centro sociale ed è anche presidio dell’associazione Libera – ma la vernice è stata spruzzata ieri sera, a due giorni da un altro segnale che ci era arrivato e che, probabilmente, è  stato sottovalutato”. Il 5 dicembre, infatti, qualcuno è entrato nella sede di Legambiente aprendola a calci e rompendo la serratura. “Non hanno portato via niente – dice Cirillo –ma hanno bevuto qualche caffè dalla macchinetta dell’espresso e hanno rovistato nei documenti. Pensavamo ad una bravata di qualche ragazzo.” Ma alla luce di quello che è accaduto ieri sera, il primo episodio assume un rilievo diverso. “Avevamo comunque fatto regolare denuncia del primo gesto vandalico – spiega il responsabile di Legambiente – e stamani mi sono recato al posto di polizia di Casapesenna per integrare la denuncia.” Al piano terra dello stesso stabile c’è anche un centro per anziani. E sono stati loro ad accorgersi di quanto accaduto. “Sono inutili questi gesti – dice un signore anziano che staziona davanti al centro sociale ubicato nei pressi della piazza principale di Casapesenna -  qui ormai le cose non vanno più come prima e si vede che il vento è cambiato”. Qualche settimana fa a Casapesenna è arrivato anche il Pm della DDA, Catello Maresca, per presentare il suo libro “L’ultimo bunker”, che racconta proprio le vicende della cattura di Michele Zagaria, e a giorni verrà inaugurata una strada intitolata a don Giuseppe Diana, il sacerdote ucciso dalla camorra a Casal di Principe il 19 marzo del 1994. Due iniziative promosse da Legambiente e Libera.

Il comitato don Peppe Diana, in un comunicato esprime “ferma e decisa condanna per i fatti accaduti a Casapesenna, al di là delle ragioni o dello scopo che hanno guidato le mani di chi prima ha vandalizzato la sede di Legambiente e poi ha danneggiato la targa in ricordo di Antonio Cangiano, posta all’ingresso del Centro sociale su Corso Europa”, e si fa carico  di tenere una riunione della propria associazione  e di tutti i presidi di Libera Caserta, nella sede di Legambiente a Casapesenna, “per riflettere insieme su una nuova progettualità per il paese e per testimoniare un impegno che si rinnova ogni giorno”.

martedì 4 dicembre 2012

DISASTRO AMBIENTALE. LA PROCURA DI SANTA MARIA C.V. METTE SOTTO ACCUSA LA CENTRALE DEL GARIGLIANO

Il sostituto procuratore della Procura di Santa Maria C.V., Giuliana Giuliano, ha aperto un procedimento penale per disastro e irregolarità in materia di sicurezza nucleare nei confronti della Sogin, la società di Stato incaricata della bonifica ambientale della dismessa centrale del Garigliano. La settimana scorsa per ben due giorni (mercoledì e giovedì) esperti del centro interforze studi applicazioni militari (Cisam) di Pisa, il nucleo sommozzatori della Guardia di Finanza di Napoli e un consulente dell'Università Federico secondo di Napoli, guidati dal Capitano della Gdf di Mondragone, Marco Biondi, sono entrati nel sito nucleare, per effettuare controlli sul piano di dismissione e bonifica che sta eseguendo la Sogin. Per due giorni di seguito sono stati controllati dati ed effettuati prelievi di materiali. I controlli, che qui li doveva effettuare l’Arpac, a quanto pare non vengono effettuati da circa sette anni.

Sono stati sequestrati anche alcuni registri (quello degli scarichi liquidi ed aeriformi era compilato a matita). “I controlli che stiamo facendo presso la centrale del Garigliano - spiega il Procuratore Capo di Santa Maria C.V., Corrado Lembo -rientrano nelle attività della Procura per monitorare tutti i reati che mettono a rischio l’ambiente e, conseguentemente, la salute dei cittadini. Abbiamo firmato un protocollo d’intesa coi i ministeri dell’Ambiente, della Giustizia e dell’Interno per verificare eventuali reati in zone particolarmente a rischio e la centrale nucleare era uno dei siti da controllare. Se ci sono già in corso procedure di controllo è un bene. Ma, come ho spesso sostenuto, ci vuole anche chi controlla i controllori”.

Nel registro degli indagati risulta iscritto, al momento, il direttore della Sogin, Marco Iorio, in attesa di ulteriori approfondimenti. Allarmati gli ambientalisti del Comitato antinucleare del Garigliano, del Comitato Civico di S. Castrese di Sessa Aurunca e Legambiente. Il 27 novembre scorso il direttore della Sogin al “Tavolo della Trasparenza” “TaTras” , (un tavolo dove siedono istituzioni e rappresentanti delle popolazioni che ospitano i siti nucleari), aveva spiegato che la bonifica avverrà tra 2014 e il 2016. In forte ritardo rispetto agli obiettivi comunicati un anno fa che prevedevano l’inizio della bonifica per il luglio 2012 e il termine entro giugno 2013. “Non vorremmo che questi ritardi sui tempi della bonifica – sostengono gli ambientalisti – siano dovuti alle inadempienze riscontrate dai controlli della Procura”. Al “Tatras” del 27 novembre scorso, convocato e presieduto dall’assessore regionale all’ambiente, Giovanni Romano, era presente per la prima volta, tra gli altri, anche il rappresentante del Ministero della Salute. La Sogin, per parte sua, in una nota diffusa domenica, sostiene che: “Tutte le attività vengono svolte nel pieno rispetto dei parametri ambientali e della normativa di riferimento”.
 

mercoledì 28 novembre 2012

LORENZO DIANA DEPONE NEL PROCESSO A CARICO DI NICOLA COSENTINO


Ricostruito il sistema di gestione del ciclo integrato dei rifiuti e gli intrecci tra politica e camorra nel periodo dell'emergenza. Lo ha fatto oggi Lorenzo Diana, ex parlamentare del Pd e membro per 10 anni della Commissione Antimafia, nel corso del processo a carico di Nicola Cosentino, parlamentare Pdl, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Diana, originario di San Cipriano d'Aversa e sotto scorta dal 1995, ha risposto per quasi tre ore alle domande del pm della DDA di Napoli Alessandro Milita davanti ai giudici della prima sezione penale del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, presieduta da Gianpaolo Guglielmo. Ecco la sua testimonianza:

«A Nicola Cosentino, Mario Landolfi e in misura minore a Gennaro Coronella conveniva che gli impianti per il trattamento dei rifiuti non fossero realizzati perché‚ l'emergenza generava profitti con l'apertura di nuove discariche, quasi sempre nel Casertano, la cui gestione veniva poi affidata al consorzio Ce4, che loro controllavano attraverso sindaci soprattutto di centro-destra e il clan Bidognetti mediante i fratelli Orsi. Negli anni  - ha continuato Diana - ho sempre criticato l'atteggiamento del Commissariato di Governo che aveva continui rapporti con i responsabili del Consorzio Caserta4 e i suoi politici di riferimento.  Attaccai duramente sia Bassolino che il prefetto Bertolaso perché‚ indicavano sempre il Casertano come sede di discariche, andando così a favorire la camorra - ha affermato Diana - che vi fossero rapporti tra la struttura di governo e il Ce4 è poi dimostrato dalla nascita del Consorzio Impregeco, che riuniva appunto il Ce4 e i consorzi Napoli1 e Napoli3».

Diana ha fatto anche riferimento alle assunzioni all'interno del consorzio nei periodi-prelettorali.

«Nel 2004 durante le elezioni a San Cipriano vinte dal centro-destra con Enrico Martinelli furono assunte decine di persone nel Ce4 con contratti a tempo determinato; lo stesso accadde a Trentola Ducenta, Villa Literno e Pignataro Maggiore, piccolo centro che poteva vantare la presenza nel cda del consorzio di ben due concittadini».

Infine l'accenno ad un episodio raccontato alla DDA in un precedente interrogatorio dell'8 marzo 2010.

«Nel febbraio 2004 chiesi espressamente all'allora prefetto di Caserta Carlo Schilardi le dimissioni da consigliere comunale di Mondragone di Maria D'Agostino, esponente politico vicina a Landolfi, condannata poco prima con pena definitiva per aver ospitato un camorrista latitante. Schilardi mi disse che avrei dovuto denunciarlo pubblicamente, altrimenti non sarebbe potuto intervenire, nonostante la legge dichiarasse la D'Agostino incompatibile; pochi giorni dopo lo feci nel corso della visita a Caserta della Commissione Antimafia di cui ero membro e 24ore dopo la D'Agostino si dimise. Passarono pochi giorni e i parlamentari del centro-destra, tra cui in particolare Cosentino e Landolfi, mi attaccarono duramente nel corso di una conferenza stampa».


La testimonianza  di Lorenzo Diana proseguirà il 28 gennaio 2013 mentre all'udienza del 14 gennaio, sempre nel processo a carico di Nicola Cosentino,  sarà ascoltato in video-conferenza il collaboratore di giustizia Dario De Simone.

venerdì 26 ottobre 2012

LA NUOVA FAIDA DI SCAMPIA PASSA PER CASAL DI PRINCIPE


La nuova faida di Scampia passa per Casal di Principe.  Gennaro Spina, 26 anni, ucciso martedì scorso poco dopo le 15, in via Stelvio, nel rione Berlingieri a Secondigliano, era agli arresti domiciliari nella comunità “Liberiamo la vita”, ubicata in una villa costruita nella cintura esterna della città, al confine con San Cipriano di Aversa. Gennaro Spina era uscito insieme ad una ragazza, operatrice volontaria della comunità, per fare delle commissioni. Gli inquirenti sospettano che Spina fosse il vero obiettivo dei killer la sera del 15 ottobre nel quartiere Marianella, quando fu ucciso Pasquale Romano. Tra i due, infatti, c’è una forte somiglianza. Inoltre Gennaro Spina, che dagli investigatori viene collocato  vicino al clan  dei “Girati”, in guerra con gli scissionisti per il controllo delle piazze dello spaccio di droga, viaggiava a bordo di una Renault Clio, stesso modello di auto posseduta da Lino Romano.
“Gennaro Spina quando  è arrivato da noi – spiega Luciano Borrelli, uno dei responsabili della Comunità “Liberiamo la vita” di Casal di Principe –  non era in carcere. Scontava già gli arresti  presso un’altra comunità, la “Nuovi amici” di Torre del Greco. E’ stata la mamma a chiederci la disponibilità di accettarlo qui, perché più vicino alla loro abitazione. La famiglia, infatti, abita al Vomero. Spina si trovava fuori dalla comunità perché era uscito insieme ad una operatrice volontaria. Aveva il permesso del giudice per poter uscire. Doveva fare delle compere. Piccole spese per lavori di riparazione occorrenti alla nostra struttura. Non so perché si trovasse a proprio Secondigliano – dice Borrelli -  nessuna spiegazione abbiamo avuto nemmeno dalla ragazza che era con lui, perché non è più ritornata in Comunità. Era una volontaria.  E per noi è irrintracciabile. Non riusciamo a metterci in contatto con lei. Tra i due, peraltro, s’era creato un rapporto affettivo particolare. Insomma, erano più che amici. Perciò potrebbe essere una testimone importante dell’omicidio e potrebbe fare chiarezza sul perché erano a secondigliano”.
Nella comunità di Casal di Principe sono attualmente ospitate altre 26 persone, detenuti che scontano la pena alternativa al carcere e che provengono da varie regioni italiane. Un fenomeno, quello delle comunità di accoglienza per detenuti che è sotto l’osservazione attenta degli investigatori.   Sospettano che possa rappresentare per i camorristi il modo per scontare la pena fuori dal carcere attraverso perizie mediche compiacenti. “Il trasferimento del detenuto in comunità dice Luciano Borrelli  - non avviene perché lo richiede la struttura, ma è disposto da un giudice che deve vagliare la documentazione presentata e ritenerla adeguata. La comunità, come avvenuto per  Gennaro Spina, si limita a fare un colloquio in carcere con la persona che chiede di essere ospitato. Nel caso di Gennaro Spina, dopo che la mamma ha chiesto la disponibilità ad accoglierlo, sono stato io a fargli il colloquio. Da noi si paga una retta di 500 euro mensili. Perché è una struttura privata, non convenzionata con l’ASL. Ma anche quando la famiglia ha difficoltà a pagare la retta, noi non ci tiriamo indietro. Spina -  dice Borrelli -  non aveva problemi di droga. In quel caso non avremmo potuto accettarlo perché nella comunità non si fanno terapie sanitarie, ma solo psicologiche. Non risultava affiliato ad alcun clan, non aveva il 416 bis e non apparteneva a famiglie con legami di camorra”.

Due anni fa, però, Gennaro Spina era stato arrestato in un'operazione antidroga con l'accusa di raccogliere i soldi dai tossici per l'acquisto delle dosi. E se è vero che gli investigatori lo ritengono vicino al clan dei “Girati”, qualcosa non quadra. Vogliono vederci più chiaro i PM Sergio Amato  ed Enrica Parascandolo che seguono il caso di Pasquale Romano. Perciò hanno chiesto di esaminare il fascicolo relativo alla morte di Gennaro Spina, perché dai suoi precedenti forse si potranno chiarire molte cose. Non ultima il perché dell’uccisione di un ragazzo come Pasquale Romano, che non c’entra nulla con la faida in corso a Scampìa.

mercoledì 17 ottobre 2012

IMPRENDITORE DI PIGNATARO MAGGIORE RITRATTA LE ACCUSE NEI CONFRONTI DI ESPONENTI DEL CLAN LUBRANO-NUVOLETTA

Succede anche questo ai processi di camorra, nonostante i colpi inferti dalle forze dell'ordine e dalla magistratura ai clan casertani.  Oggi Luca Viggiano, un piccolo imprenditore titolare di una pizzeria oggetto di un attentato incendiario nell'agosto del 2004, ha ritrattato le dichiarazioni rese in un lungo interrogatorio del 16 gennaio 2008 nel quale aveva parlato di minacce e tangenti pagate al clan. Viggiano fu uno dei grandi accusatori dei boss di Pignataro Maggiore, paesino del casertano per anni regno del potente clan Lubrano-Ligato, imparentato con i Nuvoletta e alleato dei Casalesi. Viggiano lo ha fatto davanti alla Corte d'Assise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (presidente Maria Alaia), dove è in corso il processo a carico di otto tra esponenti di spicco e semplici affiliati al clan Ligato, tra cui il boss Raffaele Ligato, già condannato per l'omicidio di Franco Imposimato del 1983, fratello del giudice istruttore Ferdinando Imposimato. L'accusa per tutti è di aver terrorizzato per anni con attentati e minacce decine di commercianti di Pignataro, costretti poi a pagare il pizzo.
 
 
Gli arresti furono eseguiti alcuni mesi dopo le dichiarazioni di Viggiano. «Non ho mai pagato tangenti ai Ligato n‚ ho ricevuto da loro minacce - ha detto il ristoratore - spesso Pietro e Antonio Ligato (anch'essi imputati, ndr) venivano in pizzeria ma non ho mai dato loro pizze gratis, le hanno sempre pagate, al massimo ho praticato loro degli sconti, ma lo faccio anche con altri clienti». Il pm Liana Esposito gli ha contestato le precedenti dichiarazioni ma Viaggiano non ha cambiato linea. «L'attentato del 2004 - ha spiegato Viggiano - fu opera di alcuni ragazzi che avevo mandato via dal mio locale perch‚ volevano che preparassi una pizza quando ormai era ora di chiusura». Dalle indagini era emerso che Viggiano pagava ogni mese tra i 300 e i 400 euro e che in almeno due occasioni aveva acquistato penne e gadget di cartolibreria dai Ligato. «L'ho fatto perch‚ erano miei clienti, ma non mi è stato imposto nulla» ha concluso».

sabato 6 ottobre 2012

CATTURATO MASSIMO DI CATERINO, ULTIMO "PEZZO DA NOVANTA" DEL CLAN DEI CASALESI


Lo hanno preso seguendo la moglie, che ha portato le forze dell’ordine direttamente nel nascondiglio ricavato in un vano doccia di un’abitazione ubicata in via Roma 122, a Francolise, una frazione di Sant’Andrea del Pizzone (CE). E’ finita così la latitanza di Massimo Di Caterino, reggente del clan Zagaria, ultimo “pezzo da novanta” del clan dei casalesi ancora in libertà. Uno dei più fidati luogotenenti di Michele ZAGARIA, arrestato dalla Polizia a Casapesenna il 7 dicembre 2011, dopo 16 anni di latitanza.
 

Lo hanno trovato armato con  una pistola calibro 7,65, il colpo in canna, due caricatori di riserva  e 10mila euro in contanti. Con lui anche la moglie, Marianna Zara. Di Caterino, detto pistuolo”, era ricercato dal 31 marzo 2010, colpito da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per associazione mafiosa, estorsione e favoreggiamento personale, reati aggravati dall’avere agito al fine di agevolare l’organizzazione di stampo mafioso denominata clan dei casalesi-gruppo ZAGARIA. Di Caterino era l’ultimo pericoloso latitante in una lunga lista di capi del clan dei casalesi a cui le forze dell’ordine davano la caccia. Curava tutti gli affari economici della famiglia Zagaria.

 
Teneva la cassa del clan e provvedeva al pagamento degli stipendi degli affiliati e delle famiglie dei carcerati. Prova ne sono anche tutti i pizzini ritrovati nel covo di Francolise con nomi e cifre segnate a fianco di persone con attività economiche di un certo rilievo. Stava anche ricostruendo le fila del clan che negli ultimi mesi è stato praticamente disarticolato. Poche settimane fa era sfuggito ad un blitz. Le forze dell’ordine lo cercavano in un abitazione di San Cipriano di Aversa. La sua presenza era stata segnalata in via Pietro Bembo.  

 
Riuscì a fuggire poco prima dell’arrivo degli uomini della squadra mobile allertato, probabilmente, da apparati di intercettazione e telecamere esterne che utilizzava per l’avvistamento delle forze di polizia. Stesse apparecchiature sofisticate sono state trovate anche nel covo di Francolise dove stamani è stato catturato. L'attività investigativa della squadra mobile casertana è stata condotta dai pm della Direzione distrettuale antimafia coordinata dal procuratore aggiunto Federico Cafiero de Raho.

 
Da settimane gli investigatori della squadra mobile di Caserta diretta dal vicequestore Angelo Morabito e della sezione distaccata di Casal di Principe diretta dal vicequestore Alessandro Tocco avevano messo sotto controllo il nascondiglio, uno dei tanti che Di Caterino aveva a sua disposizione. Ad ammanettare l'ultimo dei latitante del clan dei Casalesi - scovato dalla squadra mobile di Caserta in un'abitazione con bunker nel box doccia e sistemi anti-polizia di Francolise, nel Casertano - è stato il vice questore aggiunto Alessandro Tocco, che dirige la sezione distaccata di Casal di Principe della squadra mobile casertana.

 
Nell'operazione che ha portato al suo arresto hanno preso parte circa 18 agenti della sezione di Casal di Principe. Il proprietario dell'abitazione in cui aveva trovato rifugio il latitante, Massimiliano Iossa, di 41 anni, è stato arrestato con l'accusa di favoreggiamento. Dopo l'arresto, Massimo Di Caterino è stato condotto dalla polizia nella sede della Questura di Caserta. All'arrivo delle auto nel piazzale interno, i poliziotti presenti negli uffici si sono affacciati alla finestra applaudendo i colleghi della Squadra Mobile e gridando "Bravi".


Tra i primi a congratularsi con il capo della polizia, Antonio Manganelli, per l’arresto del boss Di Caterino, è stato il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri: ""Voglio ringraziare le Forze dell'ordine e la Magistratura per l'arresto di un pericoloso latitante come Di Caterino e per il grande impegno quotidiano volto a ripristinare la legalità in territorio oppresso dalla criminalità organizzata".

 
«È stato arrestato un riferimento importante del clan dei casalesi e del gruppo facente capo a Michele Zagaria». Così, il procuratore aggiunto di Napoli e capo della Direzione Distrettuale Antimafia, Federico Cafiero de Raho, che insieme al pm Catello Maresca ha coordinato le indagini. Il procuratore ha voluto mettere l'accento su un altro nemico da sconfiggere, strettamente legato all'apparato militare della criminalità organizzata: «l'economia sorretta dai soldi della camorra» che, fa notare «è più difficile da individuare e da aggredire se non con approfondite e particolari indagini».

 

«Si tratta di una parte dell'economia del territorio - ha continuato Federico Cafiero de Raho - che si mimetizza anche grazie alla compiacenza di chi se ne avvale per fare affari e crescere». «Nel corso degli anni si è rafforzata, - ha detto ancora Cafiero de Raho - si è avvalsa dell'ala militare dei clan quando non riusciva, con il denaro sporco, a liberarsi della concorrenza basata sull'economica legale». In sostanza, ha detto ancora il procuratore aggiunto della DDA, «bisogna continuare a operare per smantellare la forza militare della camorra ma anche contrastare e debellare la sua infiltrazione nell'economia legale su cui la camorra basa la sua vera forza”.

 

«È un' ulteriore tappa di quel percorso che magistratura e forze dell'ordine stanno portando avanti per fare terra bruciata intorno ai boss in carcere e quelli che ancora sono fuori». Così il questore di Caserta, Giuseppe Gualtieri, ha commentato l'arresto di Massimo Di Caterino. Il questore Gualtieri ha voluto anche sottolineare che, nel territorio, è in atto una crescente collaborazione tra forze dell'ordine e società civile: «così riusciamo a intervenire sulle nuove leve prima che si facciano la fama di malavitosi. Questo significa che è stato fatto un buon lavoro e che è in atto un risveglio nel Casertano. Dal canto nostro - ha concluso il questore Gualtieri - proseguiremo sulla strada intrapresa».

 

Le reazioni dei politici. Dal mondo della politica è arrivato un consenso unanime. Pina Picierno, parlamentare Pd: ""L'arresto avvenuto stamattina del boss della camorra Di Caterino è una notizia meravigliosa e un risultato straordinario delle forze dell'ordine e della magistratura. A loro va un immenso ringraziamento per gli sforzi, i sacrifici e i successi degli ultimi anni". E poi ha continuato: "Quanto ottenuto è in grado di cambiare il volto della Campania e del Paese, ed è necessario continuare su questa strada senza tregua, con la certezza che è possibile ottenere grandi risultati e sconfiggere le mafie".".

 
L’on.le Gianfranco Rotondi (Pdl): "Un colpo durissimo quello inferto dalla polizia alla camorra con l'arresto del boss Massimo di Caterino. E' un altro successo straordinario dello stato nella lotta alla criminalità organizzata. Mi complimento con il ministro dell'interno cancellieri e col capo della polizia prefetto Manganelli".

 
Italo Bocchino (Fli), ha commentato attraverso Twitter: "L'arresto di Massimo Di Caterino è un duro colpo alla criminalità organizzata che ha contaminato il tessuto sociale ed economico del nostro Paese. Grazie ai ragazzi della Squadra mobile Caserta". ".

 

 Il presidente della Provincia di Napoli, Luigi Cesaro (Pdl): "Il grande merito delle forze dell'ordine e della magistratura è nell'aver dato dimostrazione di una forte continuità nell'azione di smantellamento delle organizzazioni camorristiche ed in particolare del clan dei Casalesi". E ancora: "A loro va il plauso di tutta la gente del Sud e di tutti coloro che ben sanno che la camorra e l'inosservanza delle leggi contribuiscono in maniera negativa e determinante nella difficile opera di rilancio dell'intero Mezzogiorno d'Italia".".
 

Per Enzo Amendola, segretario regionale del Pd: "Oggi lo Stato ha dimostrato ancora una volta che la battaglia contro la camorra si può vincere. Un ringraziamento per l'ennesimo successo va alle forze dell'ordine e ai magistrati che, nonostante le enormi difficoltà, quotidianamente sono sul fronte per liberare le nostre terre dalla morsa soffocante dei poteri criminali". E ha aggiunto:  "Ma da solo nessuno ce la può fare - conclude Amendola - tocca a tutti, innanzitutto alle forze sociali e alle istituzioni, fare fronte comune e alzare barriere invalicabili per emarginare e mettere alla porta chi cerca di rubarci con la violenza il futuro".

I PRETI DI CASAL DI PRINCIPE GUIDANO LA FIACCOLATA CONTRO L'ABUSIVISMO: "ORA PERCORRERE LA STRADA DELLA LEGALITA'"


E’ arrivata davvero tanta gente. Più di tremila persone hanno risposto all’appello dei parroci di Casal di Principe per fermare gli abbattimenti della case abusive. Alle 20 in punto di venerdì  5 ottobre, migliaia di fiaccole accese si sono mosse in silenzio dal piazzale antistante il cimitero, invadendo il centro della città. Davanti al lungo serpentone i parroci di Casale: Don Franco Picone, don Carlo Aversano, Don Delio Pellegrino, don Franco Manzo, don Paolo dell’Aversana, don Sebastiano Paolella. Sui marciapiedi, ai lati del corteo, decine di persone. Man mano che il corteo avanzava di ingrossava. “Questa è una chiesa che non si tira indietro di fronte ad un disagio sociale così evidente – ha detto don Carlo Aversano - e si sporca le mani mettendosi in prima fila per chiedere una seconda opportunità per chi ha sbagliato. Questa marcia è un segno di speranza e di cambiamento per un paese devastato sotto il peso dei clan della camorra”. In prima fila le madri di famiglia, tantissime, e i giovani, a centinaia. Don Franco Picone, vicario della Diocesi di Aversa: “Ecco, riconosciamo gli errori. Ma adesso vogliamo voltare pagina. La chiesa è a fianco dei casalesi che vogliono percorrere la strada della legalità. Alle istituzioni, alla Procura generale, chiediamo di darci una mano e dirci come fare”.

Tra Casal di Principe, Casapesenna, e San Cipriano d'Aversa sono state censite almeno 3mila case abusive con oltre 1000 sentenze di abbattimento. Le prime due sono già state abbattute. Almeno quindici saranno distrutte nelle prossime settimane.

 
“Abbiamo sbagliato, vogliamo riparare. Come?” recita lo striscione portato da decine di ragazzi. Come ad esibire la distanza tra la gente di casale e la camorra che è stata disarticolata sotto i colpi inferti dalla magistratura.

 Dei politici, quelli che hanno rappresentato per anni questo territorio in parlamento: Nicola Cosentino, Gennaro Coronella,  Giovanna Petrenga,  nessuna traccia: “Se fossero venuti qui – dice una donna che di professione fa l’insegnante - non avrebbero ricevuto grandi accoglienze”. “Non abbiamo più interlocutori politici – afferma invece un signore sulla sessantina, capelli bianchi e baffi – ci hanno lasciati soli. Mentre noi siamo qui in piazza, per difendere le nostre case, loro sono impegnati a difendere le loro poltrone nel congresso del partito. Eppure li abbiamo votati, gli abbiamo dato fiducia. Il risultato è che il nostro paese ha il marchio infamante della camorra. E per di più  ora ci buttano giù anche le case”.

 
La conclusione in Piazza Villa affidata al Vescovo di Aversa: “Per troppi anni siamo rimasti indifferenti al bene comune. Abbiamo sbagliato. Adesso dobbiamo rimediare. Tante cose non funzionano perché il nostro modo di entrare in rapporto con la realtà è più attento al privato che al bene collettivo. La solidarietà deve sostenere chi è in difficoltà e poi far crescere una migliore consapevolezza. Noi faremo la nostra parte ma trovare alternative non tocca a noi, ma alla politica. Da adesso si cambia strada. Si percorre la via della legalità”

giovedì 4 ottobre 2012

LE ACLI ADERISCONO ALLA PROPOSTA CGIL DI TUTELARE LAVORATORI AZIENDE CONFISCATE ALLE MAFIE.

 Altre adesioni alla campagna "Io riattivo il lavoro lanciata dalla Cgil. E' la volta della Acli, che ha deciso di sostenere la proposta di legge promossa dalla CGIL per l'emersione della legalità e la tutela dei lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata. Lo riferisce  in una nota l'Associazione, annunciando la partecipazione del loro presidente, Andrea Olivero, alla presentazione dell'iniziativa oggi a Roma. La campagna «Io riattivo il lavoro» della Cgil nasce perchè - dicono i dati - il 90% delle imprese confiscate finisce per fallire e a pagarne le conseguenze sono i lavoratori. «Il lavoro - afferma nella nota Andrea Olivero - è una delle risposte principali allo strapotere mafioso e non possiamo quindi permettere che i lavoratori delle aziende sequestrate perdano il loro posto e restino senza reti di protezione, pagando per colpe che non hanno commesso».

La proposta della Cgil sostenuta dalle Acli prevede l'accesso automatico alla cassa integrazione per i lavoratori interessati, incentivi ai datori di lavoro che assumono ex dipendenti di aziende confiscate e incentivi per i lavoratori disposti a rilevare l'azienda.Oltre a questo, la nota riporta altre idee, tra cui quella del congelamento dei debiti dell'azienda e l'istituzione di un fondo ad hoc per garantire il credito e fornire agli istituti bancari le garanzie per favorire la continuità dell'attività produttiva. «Combattere la mafia - conclude Olivero - significa combattere i patrimoni della criminalità organizzata e riconsegnarli alla comunità perchè possano produrre buona economia e buona occupazione. I beni confiscati alle mafie - precisa - non vanno messi all'asta, col rischio di nuove infiltrazioni delle organizzazioni criminali.

UN'ALTRA FABBRICA DI FALSE HOGAN SCOPERTA AD AVERSA

Un'altra fabbrica di costose ma false scarpe Hogan è stata scoperta ad Aversa (Caserta) dalla Guardia di Finanza di Caserta. La fabbrica era protetta da un sistema di videosorveglianza che, seppure perfettamente funzionante, non ha impedito ai finanzieri di irrompere all'interno del locale, dove sono stati sorpresi 9 italiani intenti alla produzione delle calzature. 19 macchinari tutti in funzione, 1.500 calzature complete, 10 clichè contraffatti di metallo recanti il marchio Hogan, 1.200 etichette 'marcatè pronte per la cucitura e 30 rotoli di pellame è il bilancio di quanto sequestrato. L'intero immobile è stato sottoposto a sequestro e i tre responsabili sono stati arrestati. I sei operai sono stati denunciati a piede libero per concorso nel reato di contraffazione.

RAPINAVANO FARMACIE, ARRESTATI TRE MINORI A CAIVANO

I carabinieri hanno arrestato due 16enni ed un 17enne a Caivano per rapina aggravata. Erano destinatari di 2 ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse il 1 ottobre dal Gip dei minori di Napoli. Uno dei 16enni e il 17enne risultano indiziati per la rapina avvenuta il 14 settembre in via Marzano, quando due persone armate di pistola entrarono nella farmacia Falco e si fecero consegnare l'incasso di 2.250 euro . I due 16enni, inoltre, risultano indiziati per le rapine avvenute in 3 distinti giorni, l'11 aprile, il 24 aprile e il 24 maggio, in via Embriani, quando alcuni uomini sono entrati nella farmacia Tartaglione e, sempre armati di pistola, si sono fatti consegnare gli incassi, complessivamente, di 3.200 euro. I giovani sono stati accompagnati nel centro di prima accoglienza per minori a Napoli sul viale Colli Aminei. (Adnkronos)

CASAL DI PRINCIPE: "DATECI LA POSSIBILITA' DI RICOMINCIARE"

Casal di Principe scende in piazza contro gli abbattimenti delle case abusive. Lo farà domani sera alle 19,30 con una fiaccolata silenziosa che hanno promosso i parroci delle quattro parrocchie cittadine. E precisano subito che non è una manifestazione per difendere chi ha compiuto un’illegalità, ma è una “richiesta di dialogo con la Procura Generale di Napoli su basi nuove rispetto ai comportamenti passati dei cittadini di Casal di Principe”. I parroci di Casale, che nei giorni scorsi hanno incontrato Donato Ceglie, il magistrato che si occupa delle case abusive, avevano chiesto un periodo di tregua negli abbattimenti delle abitazioni che sono cominciate la settimana scorsa. Ma così non è stato perché al primo intervento in via Borsellino, eseguito martedì 25 settembre, ne è seguito un altro, sempre in via Borsellino, tra ieri e l’altro ieri. Durante il primo abbattimento ci sono anche stati momenti di tensione tra le forze dell’ordine in assetto antisommossa e alcune centinaia di cittadini che avevano cercato di impedire con la forza, senza riuscirvi, la distruzione di un manufatto di 80 metri di proprietà di un operaio saltuario.  I parroci nel loro incontro in Procura hanno assicurato che non ci sarebbero stati altri comportamenti violenti da parte dei cittadini casalesi. E così è stato perché quando è stata abbattuta la seconda casa abusiva, tutto è filato liscio. “Una tregua che per il momento è unilaterale – ha detto uno degli esponenti del “coordinamento per il riscatto” di Casal di Principe -  Avevamo programmato una raccolta di firme per chiedere che gli abbattimenti venissero attuati seguendo criteri più giusti. Ad esempio cominciando da chi ha fatto l’abuso per speculare, da chi ha costruito su suolo demaniale. E poi concedendo un preavviso di alcuni giorni alle famiglie interessate in modo da poter organizzare il trasferimento dei mobili e avere il tempo di trovare una sistemazione alternativa. Abbiamo anche sospeso una raccolta di firme in tal senso, perché ci avevano detto che l’iniziativa poteva essere di intralcio all’apertura di un dialogo da parte della Procura Generale. Ma sinora non vediamo aperture in tal senso”.
I parroci, però, hanno deciso di metterci la faccia. “Abbiamo sbagliato per il passato, ma vogliamo riparare. Dateci la possibilità di farlo”,  dicono e lo hanno scritto anche sul manifesto di convocazione della fiaccolata che partirà dal piazzale antistante il Cimitero e arriverà a Piazza Villa, percorrendo, in pratica, tutte le strade del centro cittadino. Le case abusive da abbattere a Casal di Principe, al momento sono almeno una sessantina. C’è un elenco stilato dalla Procura. Il prossimo intervento, se non ci sarà alcuno stop, è previsto in via Del Pozzo nella prossima settimana.