Valeria stringe in braccio Vanessa, la sua ultima bambina. E’ nata un anno e
mezzo fa. Accoglie i suoi ospiti con un
sorriso in una casetta di legno di circa
8 metri quadri. Somiglia a quelle dei parco giochi costruite per i sette nani. Solo
che qui tutti insieme i nani non ci entrerebbero. Valeria vive nel campo Rom
numero 6, alla periferia di Giugliano. Nella casetta una luce gialla fioca
illumina i pochi arredi: una sola sedia, un tappeto per terra e
qualcosa che assomiglia ad un divano. Nella penombra si intravede anche una
piccola cucina a gas e sul fornello un pentolino che riscalda un po’ d’acqua. Luca,
il secondo figlio, di cinque anni, non c’è. E’ a casa di un suo zio. Ma non c’è
nemmeno Andrea, il marito. E’ stato ucciso dalla polizia il 9 novembre scorso
sull’asse mediano, mentre con un auto forzava un posto di blocco con altri tre
ragazzi Rom. I quattro avevano appena compiuto un furto in una tabaccheria di Santa
Maria Capua Vetere. Li tenevano d’occhio da un pezzo. Quella mattina, erano quasi
le 6, i poliziotti li stavano aspettando sulla strada del ritorno a casa,
perché avvertiti dall’allarme scattato nell’esercizio commerciale svaligiato. Andrea
aveva 21 anni, come lei. Da quando il marito non c’è più, la sua vita è cambiata
di colpo, in peggio. Vive con i suoi tre bambini tra questa casetta dove cucina
quando può e una roulotte dove dormono tutti insieme.
Vicino a Valeria c’è Morena, la prima figlia, sei anni. “Sto
preparando un caffè alla turca”, dice Valeria ai suoi ospiti. “Spero che vi
piaccia, ma non ho altro da offrirvi, mi dispiace”. Valeria ha il volto sereno. I capelli lunghi tirati
all’indietro, color castano biondo, le restituiscono una bellezza sincera. E
giovanissima. Ha solo vent’anni. Si è sposata che di anni ne aveva 14. “Porto a
scuola i due bambini più grandi quando la macchina parte – racconta - altrimenti restano a casa. Poi vado
a raccogliere ferro per la strada o per le campagne, lasciando Vanessa da una parente
del campo. Non ho molte alternative – dice con rassegnazione la giovane mamma -
Dovrei andare a rubare, ma non posso. Se
mi arrestano i miei figli dovrei lasciarli soli. Non voglio tutto questo. Vorrei
uscire da questo degrado. Ma da sola non ce la faccio. Ho bisogno di aiuto”.
Gli occhi le si fanno lucidi. Sta quasi per piangere, ma le lacrime non escono.
“Cerco qualche abito per i miei bambini. Hanno freddo. Ho solo una stufa. Ma l’inverno
è lungo. Vorrei lavorare, fare qualsiasi cosa che possa aiutare me e i miei figli”. Si ferma Valeria,
pensierosa. E poi aggiunge: “Ma chi vuoi che dà il lavoro ad una zingara? Eppure
i mie figli sono nati qui. Io sto qui da più di sedici anni. Mio marito era
nato qui”.
Le due ragazze dell’Opera Nomadi, Francesca e Laura che sono venute
a farle visita, si sforzano di tranquillizzarla. “Vedrai, faremo domanda al Caf
per farti avere una contributo dall’Inps. Forse rientri proprio nella casistica
di quelli che hanno tre bambini piccoli. Sono 1200 euro in un anno.” Valeria
guarda le due ragazze e scuote la testa. “Come faccio a vivere con tre bambini
e con 1200 euro all’anno?” Ho bisogno di vestiario, cartelle e quaderni per la
scuola. E, soprattutto, ho bisogno di far mangiare almeno i miei figli”. Quando
la disperazione si sta impadronendo dei suoi pensieri, la piccola Vanessa fa
capire a gesti che ha fame. “Aspetta un po’ – le dice Valeria - adesso che se ne vanno i nostri amici ti
faccio mangiare qualcosa”. Ma la verità è che non ha niente da far mangiare alla
bambina. Deve andare a chiedere alla roulotte vicina se le donano un po’ di
pastina e un dado. Solo così darà qualcosa di caldo da mangiare a Vanessa. “Il
caffè alla turca è buono” dice Francesca, mentre lo sorseggia. Ma ha un sapore
amaro di fronte a tanta povertà. E soprattutto di fronte ad una nuova richiesta
di aiuto di Valeria: “Non si può fare una colletta per aiutarmi un po’?” “Vediamo
se ci riusciamo” dice Laura. Con la testa abbassata vanno via le due ragazze
dell’Opera Nomadi. Il loro volto esprime tutta l’angoscia e l’impotenza di
fronte alle richieste di Valeria. Vanessa
è ancora in braccio alla mamma. Saluta anche lei con la manina. Poi, togliendosi
di bocca il biberon, smozzica due parole: “Buon Natale”.